Una guida ambientale non dovrebbe andare sul Monte Capanne con la cabinovia!
Ma col tempo sono diventato meno radicale ed ho abbandonato del tutto l’orgoglio “sportivo” della categoria.
Pertanto, stamattina 30 maggio, sono saltato su uno di questi trespoli gialli e in meno di venti minuti ero già sulla vetta più alta dell’Arcipelago Toscano.
La cabinovia si prende dal paese di Marciana, a 360 metri sul livello del mare.
Sentirsi del cielo e guardare per terra
Appena salito sulla minuscola gabbietta metallica incomprensibilmente attaccata ad un robusto cavo d’acciaio, mi sono da subito sentito avvolto dal silenzio della montagna, una sensazione di pace… e di liberazione, per uno che come me sta molte ore col telefono tra le mani.
In pochi minuti ho sorvolato un tratto di antico castagneto che ha subito lasciato il posto ad un bosco misto di leccio e conifere. Gli alberi d’alto fusto non riescono a colonizzare la parte più alta della montagna, dove solo l’orniello, minuto alberello dai rami chiari e flessibili, attecchisce qua e là nell’impervia pietraia, altrimenti occupata a tratti da bassi arbusti.
Sono venuto a fine maggio, dopo qualche anno d’assenza, per vedere l’esplosione delle fioriture tipiche di questo periodo.
Quando sono sceso sulla vetta ho impiegato meno di cinque minuti per ricordarmi il motivo della mia avversione alla cabinovia: ecco lì una comitiva di giovinastri e giovinastre che facevano caciara.
La devo smettere di pensare alla montagna come ad un tempio dove si celebra il sacrificio del silenzio!
In realtà i goliardi e le goliarde no anche simpatici e devo ammettere che non mi hanno arrecato alcun fastidio.
Qui c’è ben altro di cui lamentarsi!
Ora farò delle affermazioni che forse un blog come questo dovrebbe evitare.
Storie dell’altro millennio
Anche se io non ho mai fatto parte della scuola “i panni sporchi si lavano in casa”, lavoro e vivo sull’affitto di appartamenti e ville all’isola d’Elba. Ci si aspetterebbe pertanto che esaltassi quel che c’è di buono sull’Elba e che tacessi su quel che non va. Questo però è un blog indipendente da qualsiasi condizionamento e personalmente non credo per niente nell’efficacia dell’omertà al tempo di internet.
Dunque lo sapevo anche prima di salire sulla gabbietta gialla a Marciana, ma vederlo direttamente e proprio nella stagione più propizia, mi ha fatto riflettere sulla rapidità dell’avanzata del Nulla (qualcuno ricorda il film/libro “La Storia Infinita?”)… e sul lato masochista della mia personalità.
Ripartiamo dalla cabinovia di Marciana.
Appena inizio l’ascesa l’occhio mi casca subito sull’infinità di galle verde-rosato di cui sono pieni i castagni sotto di me. Si tratta di un parassita che da anni sta mettendo in ginocchio i nostri secolari e ormai residui castagneti. Io li considero come il ricordo vivente della nostra storia, del resto la parola monumento deriva dal latino “ricordare” e un popolo che non “ricorda” è un popolo povero, o più precisamente un “povero popolo”.
Andiamo avanti.
La dura realtà sotto di te
Mentre salivo verso la cima, dentro di me saliva anche un sentimento di delusione, sospeso sopra la chioma degli alberi, constatavo la pressoché totale scomparsa del sottobosco. Le distese di ciclamini primaverili e di anemoni appenninici che fino a qualche anno addietro apparivano quasi banali, tanto erano comuni… risucchiati nel Nulla.
La stagione turistica non è ancora incominciata e già siamo stati avvisati dalla società che eroga l’acqua potabile sull’isola che questa estate saranno dolori, eppure questo livello di siccità nel luogo più fresco e verde dell’isola d’Elba fa ugualmente impressione.
Il bello, si fa per dire, però deve ancora venire.
Il bello lo vedi anche mentre sali: tutte quelle chiome verdeggianti, le minuscole oasi di frescura tra le distese di pietre che si staccano dalla montagna, cuscini vegetali completamente in fiore, di un giallo oro luminoso che s’intona così perfettamente coi lastroni di granito, ricoperti di licheni secchi dello stesso grigio perla della roccia su cui vivono, si tratta di una varietà particolare di ginestra che cresce strisciando e crea appunto come dei cuscini , ma non andate a toccarla perché è più spinosa di un cactus. E poi il complesso paesaggistico del Monte Capanne che si erge come poderosa fortezza tra il nord e il sud dell’isola: uno spettacolo da consigliare.
L’ultima speranza… rimasta delusa
Confesso di aver sperato che almeno tra le rustiche spine della ginestra strisciante, potessi ancora vedere qualche mia vecchia conoscenza, come il tulipano selvatico o il narciso dei poeti, o almeno un paio di orchidee spontanee, una volta comunissime da queste parti e orgoglio dei naturalisti locali.
Niente. Tutto sparito.
Qui, tra i 600 metri d’altezza e la vetta del Monte Capanne, fino allo scorso millennio (già… non ci avevo pensato!) si trovava un autentico tesoro, miracolosamente conservatosi per più di 20.000 (ventimila!) anni, ovvero dall’ultima glaciazione… e che in meno di un ventennio è stato spazzato via.
Era la flora appenninica del Monte Capanne, ovvero di una montagna in mezzo al mare tra la Toscana continentale e le grandi isole-continente di Corsica e Sardegna, crocevia di esseri non solo umani, una preziosa rarità ben circoscritta che poteva essere salvata e che invece noi, bipedi implumi di questo scoglio, abbiamo lasciato che sparisse per sempre, come fosse la fissazione paranoica di qualche strambo di ambientalista.
E oggi, quassù, insieme a questi cari ragazzi un poco rumorosi che tra un selfie e l’altro giustamente gioiscono della straordinaria vista e dell’atmosfera luminosa e che vi si respira, constato la miserevole fine di una straordinaria bellezza, l’ottusa perdita di una grande opportunità turistica e scientifica per la mia isola.
Nel mondo niente rimane per sempre
Il giardino più bello che avessi mai visto e dal quale ho tratto tanta ispirazione, semplicemente non c’è più. Come innumerevoli altre meraviglie di questa sfera azzurra a giro per la galassia, il Nulla ha inghiottito l’arancio dei tulipani selvatici, il bianco dei narcisi, l’eleganza delle orchidee selvatiche, la regalità del giglio di San Giovanni e sta risucchiando anche la delicatezza della viola endemica del Capanne, ormai ridotta a pallida testimone della nostra abdicazione ai tempi crudi del terzo millennio.
Caro lettore, non voglio intristirti, ma renderti consapevole, sperando che nonostante tutto, tu continui ad affittare le nostre case vacanza all’isola d’Elba.
Del resto, se anche tu, come i miei nipoti ancora piccolissimi, non hai mai assistito alla meravigliosa fioritura di maggio sul Monte Capanne, potrai certamente ancora stupirti e godere di quel che è rimasto.
Graziano Rinaldi