Bruno è un uomo sui settanta, vigoroso come chi ha trascorso la vita in campagna e parla col buonsenso di un pensiero lineare, donato dal contatto con la terra e con le stagioni.
L’ultimo orto/frutteto, incastonato tra il granito del Monte Capanne, prima d’inerpicarsi tra i cespugli di lavanda e cisto sul sentiero 41, è il suo.
Ero rimasto così ammirato da questi pochi metri quadrati di terra sabbiosa ai piedi della montagna elbana che ho voluto conoscere l’artefice di questo monumento all’inattualità.
Si capisce che Bruno è persona autorevole nel piccolo borgo perduto all’estremo occidente dell’isola d’Elba, più vicino alla Corsica che a Livorno, infatti la prima persona a cui chiedo del proprietario di quel terreno, neanche mi lascia finire e già aveva capito.
Lo incontro sul sentiero verso il paese e lo convinco a tornare verso l’orto, la sua gentilezza è senza fronzoli come le canne che costeggiano il rivolo d’acqua che scende dalla montagna.
E lo tartasso di domande.
Quando dichiaro la mia ammirazione per la sua dura giovinezza tra la povertà degli anni cinquanta e la marginalità economica di un’economia di sussistenza, lui sposta il discorso sulle condizioni ben più dure in cui morì suo padre quando Bruno era un bambino di 5 anni.
Era il 1953 e dovevano passare ancora 7 anni prima che una strada qualsiasi congiungesse Marina di Campo (il paese più vicino) a Chiessi, prima di allora erano sentieri scoscesi e asino.
Mi piaceva introdurre con questo incontro la descrizione del sentiero n. 41, se ti iscriverai a questo blog, entro l’autunno conto di mettere in linea un video dove potrai ascoltare Bruno e altri paesani più anziani parlarci di un mondo che non c’è più, nel bene e nel male, come sempre.
Il 41 è una breve escursione ad anello che parte e arriva al piccolo borgo di Chiessi.
Consiglio di percorrerlo in senso orario, partendo dal ponte sul Fosso della Gneccarina.
Lungo i primi trecento metri costeggia il piccolo ruscello che a un certo punto va oltrepassato, e qui ti troverai presso l’orto/giardino di Bruno, non puoi non vederlo.
Già all’inizio del sentiero, vecchie piante di agrumi coabitano con alti ontani neri e resti di orticelli poco curati.
Se non hai mai visto questi orti ti daranno l’impressione di una fortezza assediata: e lo sono!
Robuste reti metalliche ed altro materiale di recupero, cingono pugni di terra ancora coltivata, assediata dai cinghiali e dai mufloni, animali non autoctoni, immessi per essere cacciati e che si sono riprodotti esponenzialmente.
Sono le sparute vestigia di un agricoltura che occupava ogni centimetro quadrato di terra coltivabile, dove per “coltivabile” s’intende qualcosa d’inimmaginabile per i contemporanei!
Appena oltre l’orto di Bruno, incontrerai una piccola cava di granito, anch’essa abbandonata qualche decennio addietro.
Questa del granito è stata per molti secoli e fino a pochi decenni orsono, l’economia alternativa e complementare alla povera agricoltura dei terrazzamenti.
Tutto finito, per il sollievo dei paesani che negli anni sessanta si sono immediatamente e molto volentieri convertiti all’economia turistica.
Chiessi non è nato come borgo di mare, la sua piccola insenatura è un ghiaieto raccolto tra massi di granito, ma vi sono sorti ugualmente dei piccoli hotel a conduzione familiare e chi ha potuto ha ampliato o costruito qualche appartamento per affitti turistici.
Del resto da Chiessi, con pochi minuti d’auto, si raggiunge Fetovaia, una delle spiagge più belle del Mediterraneo e allungando di cinque minuti il viaggio si arriva alla località turistica più frequentata dell’isola: Marina di Campo, coi suoi hotel e case vacanza.
Ma torniamo al nostro sentiero 41.
Abbiamo appena superato, anzi aggirato dall’alto, la vecchia cava di granito e c’inerpichiamo per un sentiero ben segnato.
Il dislivello massimo che raggiungeremo non sarà superiore ai 350 metri, ma lo spettacolo della valle e del mare sottostante è da subito straordinario.
Se deciderai di metterti in marcia come ho fatto io, ad aprile, non farai che camminare tra i fiori.
Man mano che salirai, i cespugli di lavanda selvatica e di cisto si faranno sempre più avvolgenti e non ti lasceranno fino al ritorno in paese.
La prima parte del percorso in salita costeggia in alto il Fosso dell’Infernetto, un rigagnolo che nasce dai costoni di granito più occidentali dell’isola e dopo un brevissimo tratto affluisce rapidamente nella valle della Gneccarina, al cui termine si trova Chiessi.
L’itinerario del 41, si snoda intorno ad un minuscolo promontorio che s’insinua nella valle della Gneccarina, la sommità del quale, tra “Il Semaforo” e Monte San Bartolomeo, si chiama “Il Capo”.
Quando arriverai su questo altipiano (se te la prenderai comoda impiegherai poco più di un’ora), non potrai non rimanere colpito dal contrasto tra la durezza della montagna e la dolcezza del luogo.
Sarà suggestione, ma già l’asprezza del percorso in salita è mitigata da una sensazione di familiarità, come se il pesante granito contenesse una “morbidezza” domestica.
Quando ti troverai sulla sommità de “Il Capo”, ti stupirai di questo minuscolo altipiano e potrai decidere se sostare all’ombra di un solitario, piccolo albero di melo o nei pressi di un rudere costruito attorno ad un masso di granito.
In tutti i casi il tuo sguardo si perderà tra il mare, la Corsica, l’isola di Pianosa e gli scogli scoscesi della montagna: estasi mediterranea.
L’ambiente impervio e solitario fu intensamente coltivato e saltuariamente abitato, come testimoniano alcuni ruderi di vecchie case non vecchissime.
Forse proprio a causa di questo isolamento, quando ancora non esisteva né il paese di Chiessi e forse neanche altri insediamenti, qualcuno pensò di nascondere proprio qui, un tesoretto, probabilmente con l’intento di tornare a prenderlo in un momento più propizio.
Era il 1930, quando un contadino trovò sotto una lastra di granito, cinque asce di bronzo dell’VIII secolo a. C. uno dei ritrovamenti più importanti sull’isola, che di sorprese archeologiche ne ha prodotte tante.
Dal “Capo”, la discesa al paese è breve, si dovrà attraversare di nuovo il Fosso della Gneccarina e procedere per un tratto in piano fino alla sommità del paese.
Durante il percorso di rientro costeggerai muretti a secco costruiti con una tale maestria da aver resistito all’abbandono e persino ai cinghiali.
Verso la fine del percorso, sopra il paese, ancora qualche frutteto e vigna con vista mare conclude l’escursione.
Buona passeggiata.
Graziano Rinaldi